INFLAZIONE E RIVALUTAZIONE DEL TFR

L’ISTITUTO

Il TFR è un elemento della retribuzione il cui pagamento viene differito ad un momento successivo rispetto a quello della prestazione di lavoro, in particolare al momento della cessazione del rapporto di lavoro subordinato.

L’istituto si basa su un accantonamento che matura dall’inizio del rapporto di lavoro e viene calcolato sulle componenti retributive riferite a ciascun anno di servizio; esse sono costituite da tutte le somme corrisposte in dipendenza del rapporto di lavoro, a titolo non occasionale e con esclusione di quanto è corrisposto a titolo di rimborso spese, compreso l’equivalente delle prestazioni in natura.

Sono esclusi dal calcolo del TFR gli importi occasionali, quei compensi non direttamente ricollegabili alla prestazione lavorativa i quali, per la scarsa frequenza dell’erogazione non possano rientrare nella base di calcolo del TFR.

LA RIVALUTAZIONE DEL TFR

Il trattamento di fine rapporto accantonato in azienda deve essere annualmente rivalutato secondo le regole contenute nei commi 4 e 5 dell’art. 2120 del Codice Civile.

Ad eccezione della quota maturata nell’anno corrente, la somma accantonata negli anni precedenti viene incrementata, alla fine di ogni anno, nella misura fissa dell’1,5% e in misura variabile dal 75% dell’aumento dell’indice dei prezzi al consumo per le famiglie di operai ed impiegati (FOI), accertato dall’ISTAT, rispetto al mese di dicembre dell’anno precedente.

Qualora il rapporto di lavoro cessi in corso d’anno, l’incremento dell’indice ISTAT è quello risultante nel mese di cessazione del rapporto di lavoro rispetto a quello di dicembre dell’anno precedente. Le frazioni di mese uguali o superiori a quindici giorni si computano come mese intero.

GLI EFFETTI DELL’INFLAZIONE SULLA RIVALUTAZIONE DEL TFR

Come si evince da quanto descritto nel paragrafo precedente, l’inflazione gioca quindi un ruolo determinante sugli accantonamenti dovuti per il TFR.

Attualmente la dinamica dei prezzi ha subito un’impennata non riscontrabile in anni recenti, il carrello della spesa ha fatto registrare un aumento pari all’11,1%, e ciò sta determinando una variazione del coefficiente di rivalutazione dell’istituto che si ripercuote sulle aziende in quanto determina un costo maggiore per le stesse.

In questo senso è indispensabile, al fine di mitigare gli effetti negativi dovuti all’inflazione, una corretta gestione della liquidità aziendale, optando per investimenti utili ad incrementare la redditività del business oppure favorendo due diverse opzioni relativamente alla gestione del TFR:

  1. favorire anticipazioni del Trattamento di Fine Rapporto, anche tramite piani aziendali ad adesione volontaria, in modo tale di liberarsi dal costo del lavoro derivante dalle rivalutazioni del TFR che, come detto, in questo periodo di inflazione galoppante aumenta in maniera sempre più consistente ;
  2. favorire l’adesione a forme di previdenza complementare.

Favorire l’adesione a forme di previdenza complementare produce diversi vantaggi per l’azienda. Infatti, oltre ad evitare un possibile rischio di esborso improvviso dovuto alle liquidazioni conseguenti al licenziamento del dipendente, essa potrebbe in tal modo ottenere i seguenti vantaggi:

a) una somma pari al 4% (6% per le aziende con meno di 50 dipendenti) del TFR annuo destinato al Fondo Pensione, potrà essere utilizzata come variazione in diminuzione (riduce l’imponibile fiscale) in sede di dichiarazione dei redditi;

b) la quota di TFR destinata al Fondo Pensione Aperto esce dal bilancio aziendale ed è esonerato dall’obbligo della rivalutazione obbligatoria (1,5% + il 75% dell’indice dei prezzi Istat);

c) il datore di lavoro è esonerato dal versamento del contributo dello 0,20% al fondo garanzia INPS, relativamente alla quota di TFR conferita al Fondo Pensione (riduzione del costo del lavoro);

d) beneficia di una riduzione del carico contributivo pari allo 0,28% della quota di TFR conferita al Fondo Pensione;

e) i contributi datoriali, sono deducibili e soggetti al solo contributo di solidarietà del 10%, diversamente dagli aumenti retributivi il cui costo complessivo è più elevato in quanto gravato dai contributi.

In conclusione, è dunque consigliabile una riflessione in merito alla gestione del TFR da parte del datore di lavoro; una corretta politica applicata allo strumento potrebbe infatti aiutare l’impresa ad affrontare con maggiore sicurezza le turbolenze inflazionistiche che caratterizzano attualmente il mercato e a mitigarne ed attenuarne i rischi connessi.